La capillare schedatura di più di duecento centri nelle province di Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo ha permesso di comporre un quadro nuovo per l'architettura barocca nel Lazio. Un quadro riccamente articolato, entro il quale l'influenza esercitata da Roma incide in modi differenziati, incontrandosi sovente con linguaggi architettonici autonomi e fortemente connotati.
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È il caso della presenza di prestigiose fabbriche in zone già appartenenti al vicereame di Napoli affidate ai protagonisti di un'altra declinazione del barocco, da Cosimo Fanzago nell'abbazia di Montecassino a Dionisio Lazzari nel duomo di Gaeta; o di maestranze lombardo-ticinesi operanti nella frastagliata zona appenninica che va dalla val di Comino al Reatino e che, unendosi a maestranze locali, realizzeranno sontuosi arredi lignei di chiese e conventi. La zona d'influenza più direttamente romana va ravvisata nel Viterbese, dove architetti del calibro di Nicola Salvi potranno portare ai massimi livelli le loro ricerche. Appaiono analogamente qualificati i rinnovamenti urbani come quelli promossi da importanti famiglie, i Pamphilj a San Martino al Cimino o i Ginnetti a Roccagorga, e quelli intesi a incidere sull'assetto territoriale e sulla produzione agricola, come Monte Romano o San Lorenzo Nuovo. Ne risulta una geografia architettonica di tradizioni e linguaggi in dinamica interazione, forse per la prima volta mostrata nella sua effettiva portata.
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