Il Parmigiano Reggiano più simile a quello creato tanti secoli fa dalla sapienza dei monaci emiliani? È il Parmesan prodotto nel Wisconsin, in USA. E quella meraviglia dolce e succosa, coccolata dal sole e dall'aria della Sicilia, che si chiama pomodoro di Pachino? È un ibrido prodotto in laboratorio da una multinazionale israeliana delle sementi.
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Per non dire del Marsala: fu inventato, commercializzato e prodotto su larga scala da un commerciante inglese che aggiunse alcool al vino al solo scopo di conservarlo meglio durante il trasporto verso la madrepatria. E tutto quel gran sbattersi per definire il vino DOC, DOP o IPG in base a presunte e millenarie tradizioni dei vigneti? Un nobile intento che però finge di non sapere che nella seconda metà del 1800 un parassita distrusse tutte le vigne presenti sul territorio italiano ed europeo. Dovendo ripartire da zero, i nostri viticoltori usarono obbligatoriamente viti non autoctone e innesti vari. Alberto Grandi, professore dell'Università di Parma, svela quanto marketing ci sia dietro lo strepitoso successo dell'industria gastronomica italiana. I tantissimi prodotti tipici italiani, gran parte dei piatti e la stessa dieta mediterranea sono buonissimi, ma le leggende di storia e sapienza che li accompagnano sono invenzioni molto più recenti, scaturite dalla crisi industriale degli anni Settanta: è in quel momento che imprenditori e coltivatori italiani si alleano per inventare una presunta tradizione millenaria del nostro cibo e il conseguente storytelling per sostenerla. «Denominazione di Origine Inventata» è un libro che farà arrabbiare - ma forse anche ragionare - tutti coloro che sono fideisticamente innamorati del grande mito della tipicità italiana.
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