I porti marittimi hanno subito un profondo processo di trasformazione con le privatizzazioni degli anni 90. Mentre le compagnie di navigazione del traffico container costruivano una capillare rete di servizi che tocca anche le più remote aree del globo, potenti organizzazioni si sono andate formando nella gestione dei terminal portuali con ramificazioni in tutti i continenti.
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Investitori istituzionali hanno scoperto il business delle banchine, una volta riservato a società pubbliche. II pittoresco mondo degli scaricatori occasionali si è trasformato in una rigida organizzazione industriale, che opera 24 ore su 24 con mezzi meccanici di grande potenza e l'impiego di sofisticati sistemi informatici. Dal 1990 a oggi il traffico marittimo di merci è aumentato di sei volte a livello mondiale. Investire nella costruzione di navi sembrava un grosso affare, sin quando la crisi non ha stroncato di colpo un ciclo ascendente, particolarmente euforico dopo il 2002. Grandi istituti bancari, che si erano esposti nel finanziamento dello shipping, soprattutto in Germania, si trovano oggi in gravi difficoltà. I porti europei, che avevano avviato progetti di forte espansione, talvolta sovradimensionati, rischiano di trovarsi senza risorse per portarli a termine. Lo stesso può accadere per i porti italiani. È in atto quindi un forte ripensamento della missione di un porto marittimo con sempre maggior enfasi posta sui collegamenti terrestri (extended gate).
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